2010-09-16 09:05:11
sul Corriere della Sera - Puglia, 8 Agosto 2010
Magnifica traduzione di Specchi neri
E’ di Cirò il migliore traduttore dal tedesco – come da premio del Goethe Institut - ma ci onoriamo di considerarlo pugliese dato che vive a Mesagne. La Lavieri edizioni di
Villa d’Agri, occupandosi di un settore abbastanza redditizio come quello dei fumetti e dei libri per bambini, ha potuto affidare a Domenico Pinto una collana di libri tosti, tanto tosti che il
primo libro di Arno Schmidt ha venduto solo dieci copie, provocando uno sdegnato articolo di Claudio Magris.
L’ultimo libro di Schmidt curato e tradotto da Pinto,Specchi neri, appartiene al post-apocalittico, un classico dell’immaginario collettivo, ma l’eroe senza nome non cerca un cinema con
la pellicola diWoodstock (o il corrispettivo dell’epoca: il libro è uscito nel ’51) per un bagno di folla gioiosa, come Charlton Heston in Occhi bianchi sul pianeta
terra. Esperto nell’uso delle armi anche lui ma irriducibile misantropo il sopravvissuto tedesco cerca conforto solo nei libri, nei più squisiti e difficili. Per il resto la tabula rasa gli
sta benissimo e non per tentarvi altri esperimenti : “non appena tiro le cuoia anche l’ultima infamia sarà stata cancellata: l’esperimento uomo, il fetente è terminato”. Celiniano, si direbbe. Ma
non si tratta di disgusto viscerale, di un rifiuto del verminaio umano ‘dall’interno’: il disdegno qui è cerebrale, deliberato. Oltre che aristocratico il sarcasmo del narratore risulta poco
saldo: quando incontra l’ultima Eva, dopo un approccio, che, come nota Goffredo Fofi nel risvolto di copertina, ha le cadenze di una sofisticata commedia americana degli anni 30, si scioglie come
un adolescente e vagheggia un ricomincio dall’Eden nel nido di legno che si è costruito abbandonando il vagabondaggio sugli amati pedali. Del resto apprezza troppo i prodotti
dell’intelletto umano e la natura (che ci descrive come animata, antropomorfa) perché il suo nichilismo sia credibile. Chi non crede nell’uomo non può che considerare la Storia una purulenta
insensatezza; perché allora perdere tempo a polemizzare con uno storico in un lettera non recapitabile?
La donna è mobile, però, anzi zingara, e declina. Perché “sto troppo bene con te”, motivazione incomprensibile per un uomo ma indicativa di un desiderio di indipendenza tutto femminista che fa il
paio con un altrettanto sciocco “Tu sei troppo forte per me”. Il finale però è aperto: lei potrebbe tornare.
Smilzo ma denso questo è forse il più poetico dei romanzi sul day after. Non solo per le frequenti descrizioni inopinatamente liriche di foreste, fenomeni atmosferici e luce lunare (incurante del
motto delle avanguardie ‘Uccidiamo il chiaro di luna’, sin dalle prime righe Schmidt ci immerge in uno struggente chiarore notturno ai limiti del sentimentalismo, architettando poi per il
satellite decine di inconsuete definizioni, dalle più liriche alle più svilenti) ma soprattutto per l’utilizzo di termini singolari nella descrizione del quotidiano (o dell’ex quotidiano), con
uno spostamento del punto di vista che ci fa sembrare nuovo ciò che abbiamo visto mille volte. E’ il nominare del primo uomo, più che dell’ultimo: questo non è un Ulisse, come vorrebbero il
curatore e altri critici, ma un Adamo, dotato del potere di (ri)nominare.
Non c’è un aggettivo scontato in questa prosa sfavillante, nervosa, di un’immediatezza modernissima, ricca di incisi, quasi di ‘a parte’, che accostano linguaggio alto e basso con ironia svagata
ed elegante, resa splendidamente – e non è necessario conoscere una sola parola tedesca per comprenderlo - dalla traduzione creativa di Pinto. Il narratore appare attraversato da altre voci: le
associazioni verbali - anche le più futili – irrompono senza freno apparente, sgretolando insieme la percezione dell’io e l’idea di narrazione. Questo flusso d’incoscienza rende
perfettamente il modo di dialogare con se stessi degli uomini troppo solitari – come è stato lo stesso autore per lungo tempo – ma è anche un espediente per raccogliere le preferenze e le
idiosincrasie dell’autore fino a costituire un ritratto dell’umanità, una summa del pensiero umanoà la Schmidt.
Nei pochi ricordi centellinati dal protagonista lo scrittore tedesco esprime magnificamente certi interrogativi comuni quanto sublimi dell’infanzia: perché mai un certo omone “si chiamava Herr
Pfeiffer, e perché erano privi di nome i sei pioppi slanciati del Bauerberg?”. E cos’è che dà agli adulti, “anime di basalto che per sopportare la vita andavano ritagliando frammenti, stanze, dal
mondo… questa sicurezza mostruosa, questa spettrale dimenticanza tanto da non udire i richiami angelici e armoniosi dalla stufa (voci incognite, alte e profonde, che dal fondo della notte
lanciavano segnali inesplicabili)?”. Niente male per uno che aborre Rilke. Del resto, come quasi tutti gli atei militanti, Schmidt trasuda bramosia di trascendenza: “ma l’incommensurabile?
l’imponderabile?”.
L’abbondanza di citazioni (incessanti i riferimenti ad autori tedeschi sconosciuti al grande pubblico) e di divagazioni – come la tentata dimostrazione del teorema di Fermat - ha costretto il
curatore a riempire venti pagine di note su un testo di sole settanta pagine. Anche a non volerle consultare, il flusso della lettura resta interrotto da innesti incomprensibili. C’è nel testo
una dichiarazione di poetica: l’io narrante dichiara di aver scritto pensando a un pubblico di soli autori amati. Ma anche alcuni di loro, per motivi temporali e geografici, avrebbero avuto
bisogno di note. Non si può non chiedersi, insomma, perché l’autore abbia voluto sottrarre alla massa dei lettori il godimento di una penna geniale, fulminea e fulminante, che molti vogliono
espressionista e io definirei impressionista. Ciò che mi delizia è la rappresentazione della libertà del solitario, le istantanee di atti gratuiti, la gioia infantile del descrivere otto cerchi
con la bici in un incrocio deserto. Mi esaltano e mi inteneriscono i colpi di contropedale. Chi ricorda più le bici a pignone fisso? Colpi di contropedale sono anche i soprassalti stilistici
della prosa di Schmidt, strumento sconosciuto al nostro mondo letterario, saturo di acquose narrazioni a ruota libera. Insomma, la sua concezione del mondo e il suo Pantheon non potevano essere
illustrati in modo meno criptico? Giusto per arrivare a quaranta, di lettori.
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